Caro pianeta capovolto,
vorrei farti gli auguri più strani e contraddittori tra i miei. Te li farei subito e a pochi minuti dal giorno perché oggi è la tua festa ma soprattutto perché la tua barba più lunga è come quest’altro inverno che invecchia, che invecchiando stanca, che stancando scarica i sogni, che a sogni scarichi si ottura pure nel processo di ricostruzione dei ricordi e che otturandosi si ripete ma non ci lascia il privilegio di ripeterci.
Come potrei comporre nuove musiche e edificare sulle macerie di questo giorno? È troppo pieno, appunto, di macerie. Infatti tutti mi lasciano intendere che ci sono ancora echi molto presenti nelle mie stanze, dove tu sei passato e hai vissuto, e che i tuoi odori e le tue cose – ora perfettamente impacchettate ma ancora in attesa di essere spedite – sono ingombranti come i tuffi nel letto di questo mese complicato, tuffi che faccio spinta dai sogni puntualissimi a tormentarmi, tuffi che potrebbero spaccarmi ancora la testa e soprattutto tuffi che non posso più permettermi, ora che so che la mia vita deve essere felice e libera.
Mi sono chiesta in un inverno passato – che forse ancora non era invecchiato – come facessi colazione la mattina, cosa ti facesse sorridere, a cosa tu stessi pensando e se mi stessi pensando e come la tua vita potesse essere in fase di trasformazione a partire dalle quattordici e zero cinque, quando il mio aereo è decollato e quando ho giustamente supposto che non ti avrei più visto.
Da quel giorno ci sono stati molti tuffi nel letto e in altri letti, ci sono stati incubi ricorrenti e lezioni per apprendere il corretto processo da avviare per formattare e dimenticarti. Da quel giorno ho pianto e riso, impastato e fatto a meno di, ho pregato e avuto pazienza, aspettato il giorno giusto per respingerti e inventato il migliore per metterti alla porta. Una persona che amiamo mi ha detto che non si risponde e non si apre a chi bussa, si aspetta che butti giù la porta per dare udienza – perché anche questa va meritata. Ma tu non sei un tipo da scassinamento, da guerre scatenate da risse, tu compri fiori e inforni pane, insegni alle persone a dire “per favore, grazie”, saluti con affetto e aiuti sempre, influenzi con la magia del tuo sorriso e rimbocchi le coperte nei giorni più freddi dell’anno. Tu aspetti e speri – anch’io ti aspetto e spero.
Caro pianeta capovolto, nella sera del dì di festa e nelle domeniche che solo tu hai inventato più confortanti del normale, ti ricordo come sei e non come ti vorrei, mi ricordo che di tutte le cose che hai io ne volevo molte che erano me e non erano te, mi accorgo che ti ho ingannato perché mi sono ingannata ma che non c’è stata sera in cui io non ti abbia aspettato. E poi rammento pure, ma dimentico subito, che qualcuno disse che l’amore dura tre anni e che è incredibile se pensi che a dimenticare le persone importanti ne servono tre volte tanti.
Tua ma sempre meno,
cometa senza luci.
Da piccola qualcuno mi ha spiegato che venivo dalla costola dell’uomo. Io, invece, ho pensato sensato diventare una persona curiosa, e sognare di essere almeno una volta al giorno una persona felice. Mi sono laureata in lettere moderne, ho scritto un romanzo psicologico quando non ero ancora nell’età della ragione, infondo una passione infinita in un gran numero di cose (a volte persino nell’amore!). Amo l’arte in ogni sua forma, la letteratura, la musica (che praticamente mi ha salvato la vita), la compagnia delle persone (che sono sempre lo spettacolo più grande), le serate in spiaggia con la chitarra, i fiori bianchi e brindare più volte possibile a qualcosa (senza mischiare i sentimenti al vino, come mi consigliò tempo addietro un caro Hemingway).